mercoledì 19 maggio 2010

 Da FinTo diArio 
             ( in disordine cronologico )  4



28 / 2 / 2010


Vivo nelle mie parole scritte come se mi confidassi con un amico, mi riscopro adagio.
Finisce febbraio, mi sento come al capolinea di un lungo periodo infernale, di occhi trave, di sguardi di basso, da natale a oggi un alveo di silenzio ha rivestito un fiume di confessioni a perdere. Il vento che a Natale ha improvvisato un garbino fuoristagione, la carta volante, il balcone a soqquadro e le pedalate, le pedalate di cui ricordo i vuoti. Ero lì ed ora gioie sequestre, vertigini sottochiave, lancette fuoriorario. E come se non bastasse mai, rimanesse inafferabile, rimanessi impalpabile. Mi auguro una notte di eternità dorata, incursioni piene di frutti, meraviglie a fondo cassa, ritorni di fiamma, quando la notte la disfatta è il compimento del giorno, il passo che solleva l'anima.....


....e questa voce che tiene il cielo dal cadere. Tornare alle origini, nel mezzo delle cose dove ha inizio l'origine, sul trolley ovarico dove tutto avviene della Primavera Nera lo sbocciare quando per vie rimesse abbordavo con timore strati di mistero sfacciato al muro, cori di stupore, era lì in prossimità di me sbigottito. 
Questo mal di stomaco che mi accompagna come un cane fedele appiccicoso, non molla mai l'osso, non mi lascia lasciare. Lasciare, lasciare lasciare perdere,lasciare perdersi. 


Mi zombetta il coniglio d'intorno, il mio coniglio custode, un quaderno per amico, un coniglio per custode. Vuole il suo pane quotidiano ed io balordo fingo un dolore che veramente sento e voglio accamparci una rendita sopra fino a non capirci più niente, immigrazione, crisi di governo, scioperi sopra i tetti, terremoti, profezie azteche, fine del mondo, giro giro tondo, fare del mio isolamento una gabbia di matti. C'è una grande tradizioni di matti nella mia via Natale, di ugole d'oro. C'era la matta clamante che si trascinava per il marciapiede stridendo come i cigoli di una bambina al suo amore che non gli apriva il portone. Morì e la strada pianse e l'asfalto trasalì. Poi venne a qualche anno di distanza la matta dei litigi a distanza, la sentivi aprire la strada in due con la sua voce distillata da mille ferite, - alla rimessa di un balcone più in là una donna si affaccia, sembra una vergine in lacrime che si specchia in una pozzanghera - le sue mille imprese sul pianerottolo, i suoi avvisi di garanzia, le sue debite distanze, il suo rincorrersi disabile. Poi si trasferì da viva in un altro dove. Ed io che aggiungo scusa a scusa per non, per non , per non cosa ? Qui in disabiti di imprese, in mentite spoglie che mi hanno mentito spoglio, a rincorrere una voce di poeta che mi vuole esplodere in un urlo. Placido cammino gli uccelli nicchiano l'abete indarno sempreverde sembra guardarmi, il ripetuto tuffo in cielo di un passerottino. C'è vento, è meglio che non esca, c'è freddo è meglio che non esca, c'è caldo è meglio che non esca, c'è tizio è meglio che non esca, c'è caio.......


I trasporti urbani, quel giorno andavo a piedi, sembrava un giorno rimosso, elicoidale, un piede tira l'altro, non volevo scendere, andavo a spendermi, andavo a tendermi, quel ritmo che ci inchioda a un anima, che ci svela un anima, la nostra, quell'angelo in filigrana.






9 / 3 / 2010


Tracce di vita prolissa, ritorni di fiamma. Forse mi hai risposto, forse no. Forse davvero non è figura autentica del giorno restare stare al passo breve di minime lancette.
Forse davvero un reale rapporto ci orienta anche se non sappiamo del nostro posto vero. Le antenne, le antenne si segnalano. Forse quella fiamma arsa al destino di non salvarti era allungata a me, mina diretta in dono esplosivo; forse mi hai seminato dal tuo orizzonte, forse le tue parole bagnano altri mari, altre lontananze, le medesime, forse non ho il verbo che vorrei, che vorrei essere tramite. Forse non so quello che scrivo, che ti scriverei potendo. Potendo avere braci e mille sentieri e mille braccia e mille cento occhi apripista di visioni, di tatto, di sentori, annuserei tutte le strade votate al minimo, votate alla disfatta, verrei a cercarti anche in passaggi stretti di parole. 


La gente muore anche di martedì ma in carri funebri superaccessoriati si trasloca il cadavere al cimitero. Le previsioni dicono che verrà a piovere, già piove, lancerò un corso telepatico di aperture alla desolazione, ossuario per gli aspiranti defunti. Sarò pietra miliare delle passeggiate ossessive, dei tramviari di porta cortese, delle scatole cinese, dei fabbrica chiave, dell'amanita muscaria nelle fiabe, il maniaco megapolita che si incammina verso le porte autunnali delle fate. L'intagliatore di ghiaccio, ottimi cubetti per il drink mette in mano il da farsi. 


Colpo di coda dell'inverno, fa un freddo boia, piove a dirotto, già celebrante la gioia degli amanti a primavera, le primule in fiore, ed eccomi a rabberciarmi nello scatolone.




27 / 2 / 2010


Note per cuori solitari. Ricordo vedette affacciate sui muri nelle notti piene, abbordi di silenzi, ricordo me che mi appassionavo spiando fuoricampo massimo. 


Notte eburnea di dolori lancinanti si stenta a prendere sonno, e quando si trapassa, vite di dannati da scontare in soluzioni rateali. Fratelli nella dipendenza, arpie dietro la tendina, un patto con un ombra che prende umano al muro e ci rivela l'origine del giorno.


E non mi resta che piangere o scrivere, che poi in fondo sono la stessa cosa. Sapevo allora quasi i finti abbagli delle rincorse altrui. Sapevo quasi qualcosa di utile. Mi trovo ora in una età di tardo incompreso figura dolente. Avrei bisogno di accoppiarmi senza troppi fronzoli. Sembra già primavera. 
In questo meriggio assolato me ne sto accalcato a una sedia seduto al balcone a farmi verde abbronzato. In questo silenzio assolato che è il giorno di sempre in continuo ritorno, mi rispecchio nel verde la luce dei vasi.
In questo cielo spianato si trascina di lunghe premesse, vedo un volo di uccelli lontano.
In questo vuoto di cose che non hanno parole affidate alla cura del tempo, me ne sto come voce del vento. 
In questa storia di assenze, mi abbandono alla vuota presenza, ai miei segni su carta, al passaggio da un niente a un nient'altro.






20 / 3 / 2010


Questi occhi d'avviso 
             che sanno a cratere 
                           fuligine d'acre 
                                   risvolti a piacere




           



18/ 11 / 2009


La morte non è mai troppo lontana...


come si erode la mia settimana,
il mio tempo a scadere su questa terra,
....l'acciottolato perdeva sassi e si poteva cadere....
nuvole all'orizzonte, il lontano ricordo dell'estate, degli schiamazzi,degli spruzzi d'acqua sulla battigia.
Le note degli sdentati, le fuoriuscite dei cadaveri, le barche appisolate sul bagnasciuga, 
scorribande di anime assodate, 
leste di lacrime. 




4 / 3 / 2010


E saremo insieme in tarda età finalmente rotto il nostro esilio in forma esodo risorta diaspora
e quando le membra prossime al macero e a poca vista ma luminosi tornando a quell'ardore di fanciulli, i nostri corpi decrepiti fuori staranno uniti come pietra lavica immobile, immacolati.


Tornando alle parole che non hanno seguito, non proferite, rivolte ad alcuno con il silenziatore, estraneo in questo palazzo fungo ombra che non ha più voglia di tornare persona; mi si prospetta un radioso fatuo deprimente, rimanenze di me perdute immagini, parole senza 
'Angelo, perchè mi hai abbandonato ?'
Vivo trafugato debole insorto. 
                              Domande ?

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