domenica 28 marzo 2010

Jimmy il barbaro 

'Ehi gippo ce l'hai la roba ? '
Gippo era un giovane che per pagarsi gli studi e l'affitto spacciava un po' di tutto. La roba migliore, certo un po' cara, ma Gippo era un genio della chimica e non dava mai bidoni. 
' Ci vediamo tra mezz'ora lì'. 
Lì era sotto casa sua; quella sera Eminem e Gulfo l'avevano passata a festeggiare e si erano ora fatte le 2.30, ma si vede che non ne avevano abbastanza. Si era festeggiato il compleanno di Jimmy il barbaro, ma in fondo per loro, che erano sempre tristi, si festeggiava sempre la stessa cosa, di poter essere tristi insieme. Eminem e Gulfo erano fratelli. Eminem il più giovane,in quel periodo in preda al suo istinto ribelle studentesco, erano lì ad Urbino dove Eminem studiava alla facoltà di Psicologia, si era tinto i capelli di arancio e ricordava quel rapper americano e così era stato soprannominato con il suo nome. Gulfo invece era più pacato, studiava nella sua città natale ed ogni tanto veniva a trovare il fratello. Gulfo spesso osservava il fratello con occhi benevoli, qualcuno avrebbe detto paterni, ma non si sarebbe mai azzardato a porgli dei limiti perchè vedeva, si vedeva nel più piccolo, lo stesso istinto famelico di vita che li chiamava alla morte. Gulfo era un soprannome sputato fuori da Eminem in una serata di mezzi matti davanti alla chiesa madre, quando lo aveva visto assonnato la testa incavata le spalle gli occhiali ed era uscito questo stropiccio incastro un Gu(l)fo.
L'autoradio suonava ' wish u were here' dei pink floyd, mentre giunti in anticipo aspettavano Gippo. La baldoria era incominciata verso le 10 di sera al locale ' Die Moroses' a bere birra in consumarsi di brindisi, di ip ip urrà, e di jimmy è un bravo ragazzo. Jimmy il barbaro bisognava vederlo quando si incazzava. Due metri, un fisico da rugbista, meglio mettersi a una distanza di sicurezza, ma con gli amici era come un cucciolone da coccolare. Inoltre presto sarebbe partito per Parigi per andare a provare per la squadra di rugby di lì. Roba forte. In quel locale la serata si era trascinata fino a verso l'una, poi per le strade semideserte, sotto i portici ogni tanto qualche studente ubriaco ululava, qualche chiacchiera, un freddo boia, era pieno inverno lì ad Urbino non nevicava, ma la luna piena era immensa in cielo. Gippo abitava in una di quelle vecchie case ammassate l'un sull'altra dentro le mure della città, su una piccola salita a pochi metri dal Mercatale, ma lì non è che ci fossero altri tipi di strade. Finalmente arrivò, ma correva. I due balzarono dall'auto ' ehi gippo ! siamo qui '. Gippo senza dire una parola, gli fece cenno di entrare. Diceva che aveva un cattivo presentimento, gli sembrava di essere seguito, forse qualche sbirro in borghese, forse per quella sera era meglio non concludere niente. Ma i due insistevano, magari si poteva salire da lui; Gippo non avrebbe voluto, ma era un po' a corto, gli servivano i soldi, gli affari attraversavano un periodo di magra. Salirono le scale ripide di pietra, la luce rispecchiava umida le pareti; era la prima volta che i due salivano a casa di Gippo, e seppur non si potessero definire proprio amici, erano già tre anni che si conoscevano ed incontravano per i loro piccoli commerci sotto casa sua, e non si erano mai chiesti il perchè. L'appartamento in realtà consisteva principalmente di un unico stanzone diviso in due da una tenda. La parte dove soggiornava e dormiva Gippo era un terzo della stanza, che inoltre condivideva con una compagna che ora dormiva; i letti ai due angoli dei muri separate da due piccole scrivanie. Invece nell'altra parte troneggiava un letto a baldacchino degno di una regina ottomana. Anche la tenda di rosso porpora che scendeva in un elegante drappeggio stonava a confronto dell'aspetto umile e umido della dimora. Gippo ci disse di fare piano, ci fece sedere ; io sedetti sul letto ed Eminem si appropriò di una sedia, intanto lui preparava la roba. Pronte le striscie, ce le tirammo. La botta fu tremenda, si sentì rincasare. Gippo sembrò farsi paonazzo e bisbigliò sottovoce ' già di ritorno....l'arpia'. Erano le 3.30. 'Gippo che c'è ?' provai a dire. ' Ora ficcatevi nei letti e dormite o fingete di dormire, non fate domande, non vi azzardate a mettere il becco fuori dal letto o a provare a sbirciare dall'altra parte della tenda, godetevi, se ci riuscite, il viaggio e domani dopo l'alba potrete andarvene.'.
La roba, la birra, il sonno e chi ce l'avrebbe fatta ad alzarsi dal letto.
Eminem finì nell'altro letto dove per fortuna non svegliò la già addormentata. Io, già che c'ero mi ritrovai nel letto di Gippo. Non so chi o cosa fosse rientrato e che Gippo aveva chiamato Arpia, forse un soprannome, un inquilino talmente palloso e antipatico da meritarsi tale appellativo, ma una ventata di gelido terrore invase la stanza al suo ingresso. Cercavo di trattenermi a stento, il mal di testa, la curiosità unita al terrore. A un certo punto Gaia, questo era il nome della coinquilina, si alzò, forse per andare in bagno, e mezza intontita aprì la tenda. Swish si udì e subito dopo un grido di dolore. L'Arpia era una vera arpia. L'aveva graffiata d'istinto e per poco Gaia non ci lasciava le penne. Temevo il peggio. Inaspettatamente invece, si sentì una tenera voce , l'Arpia che si volgeva a Gaia ' Gaia, avrei potuto ucciderti, lo sai che non devi venirmi alle spalle all'improvviso, come avrei potuto poi...'. Sembrava piangere, sembrava una tenera
amante, teneva Gaia tra le braccia, ora gli artigli le accarezzavano la schiena. Non so se stessi realmente vedendo o immaginando la scena, mi sentivo come a sbirciare una sposa nel cerimoniale della sua vestizione, ma vedevo queste ali enormi come quelle di un corvo, nere, le mani e i piedi a tre artigli feroci, il becco metamorfico in un viso di donna altero che però sembrava dolce come quello di una bambina, e quel corpo sinuoso colto nudo da occhi indiscreti. 
E dei versi mi risuonavano nella testa di una poesia che non ricordavo di sapere e non ricordavo dove l'avessi sentita....that i might dream and leave the world unseen.
Le possibilità di scampare alla notte sembravano aumentate, ero quasi contento, affondavo lo stesso nascosto sotto alle coperte, mi sarei finto morto se necessario, ma questo inaspettato lato umano, questa amorevolezza di una creatura figlia della notte mi aveva rasserenato. 
Ma Eminem ? 
Eminem si alzò, mio Dio, faceva più impressione dell'Arpia ! Il sangue gli colava dal naso, sembrava avere un buco nel petto, era la fine. Eminem forse delirante, sicuramente dolorante, ' Arpia aiutami, sto per morire, salvami e farò tutto quello che mi chiederai' supplicò prima di crollare a terra. Ci fu un attimo, che durò una eternità, ma fu una eternità di attesa fatale all'Arpia, perchè le prime luci dell'alba presero a penetrare dalle piccole graticole alle finestre; ce l'avevamo fatta. Ora bisognava solo portare Eminem all'ospedale. Ma un ombra che si andava via via animando, prendendo fattezze umane o quasi alla parete, forse un satiro, una specie di satiro caprino, con  baffetti alla Dalì, a formare agli angoli della bocca dei punti interrogativi, che sembrava allungarsi alla parete come un genio della lampada, rado come un fumo, ma non per questo inesistente. Avrebbe anche fatto ridere per quanto era buffo quel tozzo caprino mezzo genio della lampada, ma il susseguirsi di emozioni della notte ci avevano atteriti. Gippo sembrava in un altro mondo, impietrito. Eminem giaceva a terra, io udivo e vedevo cose di cui avrei fatto volentieri a meno. 
E l'ombra disse ' ho ascoltato la vostra invocazione, la vostra supplica, ed ho acceso le prime luci del mattino, vi ho salvato, ora il patto, è sancito con me.'

lunedì 22 marzo 2010



Da FinTo diArio 
             ( in disordine cronologico )




6 / 9 / 2008


Nota bislacca di fine estate, elogio del fior trabocco, spremuta di arance come una iniezione di sole orchidea. Il mio amico ripartirà domani. Tornerò alla mia solitude troppo rumorosa della pedalata ? Il piano regolatore di questo condominio cosmococchico, la mia emarginazione, la mia distanza dalle stelle, dalle stalle. Intensa estate cicalina, il muro d'ombra degli alberi.....


26 / 2 / 2010


Ho sognato una piana azzurr'oro scavata, degli appunti a scadere che mi scadono addosso...
Mi ero doresto dal letto con la voce di queste cose, poi figuro eretto spoglio di entusiasmo, mi sono ritrovato infinitamente stupido. Qui dove la morte conduce il gioco, noi, io che mi dico noi per non sentirmi soli, per eccesso di entusiasmo, per carenze d'altro, svuoto le tasche, svuotiamo le tasche e le scopriamo già vuote. Però attesi, a volte lontani, a volte prossimi , a volte deflagranti puntiamo in alto le mani, alziamo le mani al cielo. 
Vette a cadere, ci auguriamo un glorioso fallimento, ci auguriamo il risveglio


Ciurma mi guardava come un miracolo involarmi sulla fascia in una serpentina con le ali ai piedi, dopo aver incocciato la palla. Come io non fossi io, ma un evento. 


Oggi il mio cuore è una provvigione di lacrime. Un bambino mi parla da età differenti. La mia anima è in cielo per la ristrutturazione, il mio corpo mi rimane in panne !


Alla rotatoria ho rivisto quell'avviso notturno, un imbarazzo di mani, le scene sociali, le libere produzioni, le precedenze, i motori a pedale e dietro gli sguardi noi dietro le quinte.  




31 / 12 / 2008


.....Diari imprevedibili,improbabili, note d’ebano su ritagli d’argilla, assoli su fogli di glifo, si avanzano come un rompicapo, vivi si stagliano su palafitte di scaffali in bella vista abbandonati. 
Il cane bianco riposa il reparto di Poesia scaduta. 
Il nuovo anno pone le basi per la sua fine, per i vagabondi, quelli che si accampano senza far rumore, di ogni giorno è una fine. Figure raminghe attraversano eccitazioni di strade, uno rammemora, l’altro devia la vista sul bucato. 
La bella sconsiderata ha eletto la sua alcova a centro di consiglio.
Un fumo incendiario ritaglia lo spazio di un ristretto vissuto, si alza, la luna è un alabarda. 
Tagliato fuori, impedito, una graticola è il pasto d’amore.  




18 / 3 / 2010


La pioggia cadendo e le restanti tracce, una chioma si va spiovendo nel temporale, nera la notte perimetra, a cristalli di stelle si avvicenda alle nostre finestre, i nostri sguardi fragili, aurorali, le nostre primizie d'occidente, rossore di gote assetati, i nostri voli a cuore panico, spalancato, le nostre mani, le nostre labbra che si cercano, si intrecciano. 


Il balzo di tempi, di fure stagioni, 
il passo dal sole che inverna al fiore che sboccia, il passo al sole flagello, all'avido moto di fresche briose 
che fanno furore tra le carni disanima pori perlustra orizzonti, pelle a vertigine, a risvegli, mi ha vita e massacra. Un torpore che prende corpo, il mio corpo, lo stana nei bulbi peliferi, nei riscontri di zona, mi svuota a parole i silenzi le buone novelle.