giovedì 12 novembre 2009

             
 Liberato, liberus, Libero


Soffrendo per una Ferita al Piede
            Uchiyama Roshi -  Novembre 1952

Se avessi una moglie che si prende cura di me,
se i miei genitori fossero vicini,
se avessi denaro,
non avrei sofferto.
Nella mia stanza coperta di polvere
steso su coperte logore
ricordando Giobbe:
"Posso sopportare questo intenso dolore",
sono riconoscente.

Gli uomini si preoccupano:
"E se perdessi i miei risparmi",
"E se mi ammalassi,
perdessi il lavoro?",
formulando sempre il loro pensieri
"E se....".
Hanno paura, benchè i loro timori
siano infondati.
Per quanto io sia malato,
senza risparmi
o rendite,
incapace di mangiare,
anche se morissi di fame
non lo considererei strano.
E proprio per quello
sono riconoscente.

Mi fece dono di questa poesia scritta da un monaco buddhista, un mio vecchio amico di lungo decorso, aspirante anch'egli alla buddhità, in una corrispondenza inesplorata nel periodo natalizio scorso.
Mi è sovvenuta, mentre rileggendo 'il Demone toccatoci in sorte', una frase me l'ha richiamata alla memoria,
oltre al mal di denti che mi fa compagnia da un paio di giorni e che rende la riflessione sulla sofferenza, sul senso della vita, sulla necessità, giustizia e grazia del nostro transito terreno a più riprese sviluppato nel corso delle migrazioni dell'anima, qui sulla terra ad apprendere le lezioni necessarie per elevarsi, far ritorno al padre celeste, allo Spirito, a una dimensione ultraterrena, al Nulla, alla Vacuità eppur pienezza...la rende come dire, più evidente e consolatoria. Aprirsi al mito di Er ( punto di partenza delle riflessioni contenute nel suddetto libro ) nella sua semplicità e profondità, mi spinge a riprendere la faticosa questua sul destino e il libero arbitrio. In effetti già solo a ragionare un po', la lotta è persa in partenza, essendo almeno per definizione il destino sempre un passo avanti a noi, o noi sempre uno indietro. E del destino, il demone custode, che scegliamo nel Tempo prima del tempo, se ne farebbe garante. La libertà perciò, appparterebbe ad una dimensione superiore, la scelta è altrove, aprendo scenari fantascientifici, anche più che quantistici.
Nelle parole del Don Juan di carlito castaneda, la via del guerriero alla conoscenza si può riassumere in quattro fasi, (2) ripulitura del proprio anello di collegamento arrugginito ( 1 ; quando ancora è un essere umano comune ) con l'Intento, lo Spirito,(3) manipolazione dell'Intento e (4) all'accettazione dei piani dell'Astratto ( Intento ). Ora, premesso che ogni cultura ha le sue forme e quindi le stesse parole hanno cadenze diverse che a volte non ci azzeccano niente con i significati che gli attribuiamo, nel momento in cui il nostro anello di collegamento ( tutti ne sono provvisti ) è ripulito e ben funzionante, all'apice del nostro sviluppo spirituale, dovremmo giungere ad uno stato di comprensione tale, uno stato di coscienza superiore, al di là del tempo e dello spazio, tale da possedere la vera conoscenza, lo stato di grazia, l'estasi, la libertà....sempre che questo sia il nostro destino !
Ed infine, per rispondere a quella lettera inevasa, quando soffrendo per una ferita al piede, elevato nell'anima fino alle levità dello Spirito che tutto sa e tutto tace, immerso nella grazia, e poi ricadendo nel piano vivere dell'uomo della strada che nell'atto di cadere sogghigna la misura della propria incomprensione,
' non è che il dolore è strano, è che fa male.......'  
  

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